Enogastronomia

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Enogastronomia2018-03-21T15:48:14+00:00

Nelle Terre del Cerrano la cucina è una vera e propria arte, frutto di un modello culturale che si tramanda di generazione in generazione. Un’isola di civiltà gastronomica, dove, ancora oggi, nella maggior parte delle case regna sovrana la “massa”, impastata da mani sapienti e dove quasi tutto si cucina con l’olio di oliva.

La Patria della Liquirizia
La pianta della liquirizia il cui nome significa “radice dolce”, è una erbacea perenne rustica, cioè resistente al gelo, che può superare il metro d’altezza. In cucina viene usata nella preparazione dei dolci, ed è ottima per addolcire le tisane. Le radici di liquirizia, poste in infusione, costituiscono un buon rimedio per la tosse, in quanto hanno proprietà emollienti; anche il mal di gola può essere combattuto masticando un pezzo di radice. Chi ha la pressione sanguigna bassa, cioè a livelli inferiori alla norma, può trarre vantaggio dal consumo di liquirizia che tende al alzare la pressione. La liquirizia esercita infine una blanda azione lassativa. La liquirizia è utilizzata anche come aromatizzante nella preparazione di alcuni tipi di birra e di tabacco. Nelle Terre del Cerrano, ad Atri in particolare, i frati Domenicani, estraevano il succo di liquirizia sin dal medioevo grazie all’ottima qualità delle radici che raccoglievano nella zona circostante. Quello fra le Terre del Cerrano e la liquirizia è un amore antico. Un amore fiorito nel 1836 quando ad Atri il Cavalier De Rosa organizzò a livello industriale un’attività portata vanti dai frati domenicani sin dal Cinquecento. Da una costola di questa attività nel 1937 nacque la Saila a Silvi. I padri della Saila, che è l’acronimo di Società anonima italiana liquirizia e affini, furono due, Aurelio Menozzi e Angelo Barabaschi, entrambi dipendenti dell’atriana De Rosa, all’epoca di proprietà del gruppo Parodi. I due avviarono l’attività nel vecchio teatro Kursaal di Silvi, che ancora ospita la produzione delle famose caramelle. Dopo la Seconda guerra mondiale, la società fra i due si sciolse. La famiglia Barabaschi acquisto e detenne tutta la proprietà della fabbrica Saila fino al 1994, mentre il Sig. Aurelio Menozzi avviò una nuova attività per l’estrazione della liquirizia che successivamente inglobò la R. De Rosa di Atri diventando l’attuale Aurelio Menozzi & R. De Rosa Il sistema di produzione della liquirizia “estratto” delle radici è semplice: ricalca fedelmente la metodica secolare della infusione delle radici sfibrate in acqua calda per cui anche il prodotto attuale ha le caratteristiche di genuinità di un tempo.

Il Brodetto di Pesce
Il brodetto è nato come piatto povero dei pescatori di Pineto, Silvi e Roseto che utilizzavano quel pescato che era difficile da vendere a causa della sua bassa qualità, o delle dimensioni dei pesci, troppo piccoli, e che addirittura utilizzavano, quando il pesce era troppo poco, dei pezzi di scoglio con attaccate alghe e molluschi. Il brodetto non è solo un piatto di pesce ma è una vera e propria tradizione: si scelgono con cura gli ingredienti che devono essere freschissimi  poi si esegue con attenzione la preparazione e si passa alla cottura, momento in cui il profumo si spande per tutta la casa.

La Paranza
La frittura di paranza è una frittura di pesce di piccolo taglio diffusa nella zona costiera delle Terre del Cerrano. Prende il nome dalla paranza, che è una tipica barca da pesca per la pesca a strascico comunemente impiegata dalle marinerie locali. È fatta con merluzzetti, triglie, sogliolette, suace, ma possono esservi anche altre varietà di pesce di piccolo taglio, come alici, mazzoni, retunni o vope. La frittura viene fatta passando il pesce nella farina, quindi friggendolo rapidamente nell’olio bollente e poi asciugandolo su carta assorbente. La frittura di pesce va mangiata caldissima. Questa frittura, talvolta, viene accompagnata a tavola da spicchi di limone, il cui succo è da alcuni apprezzato come condimento.

Primi, Secondi e Contorni
Una cucina dove tutto è genuino, frutto della terra e delle sue tradizioni. Durante tutte le celebrazioni sulle tavole non mancano le Scrippelle ‘Mbusse (crepes salate avvolte con parmigiano e immerse in brodo di gallina), il Timballo (composto da vari strati di pasta e farcito con ragù di carne, mozzarella, funghi e ortaggi), i Maccheroni alla chitarra con le Pallottine: i maccheroni vengono stirati su uno strumento tipico denominato “chitarra” e serviti con Pallottine di carne. Le Virtù, sono il piatto simbolo della gastronomia delle Terre del Cerrano. Il primo di maggio si compie il rito della preparazione che consiste nel mangiare tutti gli avanzi dell’inverno rimasti in dispensa, amalgamanti con le primizie primaverili. La preparazione del piatto dura due giorni ed è per lo più composta da ortaggi, legumi e pasta, cotti prima separatamente e poi assieme. A questa base poi si aggiungono pezzi di prosciutto e cotica di maiale. Le Virtù di mare, sono l’alter ego del piatto di terra ma chiaramente composto da pesce e verdure. I ciffi e ciaffe di carne di vitello, pollo e agnello e suino, cotti in tegame con vino, aglio, pepe ed odori naturali. Li surgitti, invece sono degli gnochi. I taccunilli, fettuccine alla campagnola. Gli arrosticini, cubetti di carne di pecora, del peso di circa 20 gr. infilati in lunghi bastoncini e fatti cuocere alla griglia. Salumi e formaggi sono una specialità, in particolare il Pecorino atriano, formaggio meno duro del cugino sardo, realizzato utilizzando latte intero crudo. La pasta,  semicotta, è compattata con lieve occhiatura. La stagionatura dura circa 4 – 6 mesi, in questo periodo la superficie  del formaggio viene parzialmente unta a mano con una miscela di olio  ed aceto.

I Vini delle Terre del Cerrano
Nelle tavole di un bravo atriano non possono mancare gli squisiti vini: il Montepulciano, di color rosso rubino, ricco di corpo e struttura, con sentori di vaniglia, liquirizia, tabacco; è un vino adatto per accompagnare primi piatti a base di carne, carni rosse, agnello al forno, selvaggina, salumi e formaggi stagionati. Il Trebbiano, vino prodotto da vitigni di bacca bianca, si presenta con un colore giallo paglierino, odore gradevole e delicatamente profumato, il sapore è asciutto, vellutato ed aromatico, riconoscibili sono i sentori di mela e pesca. Il Cerasuolo, prodotto sempre da uve di Montepulciano ma con diversa tecnica di vinificazione che, prevede un minor tempo di fermentazione. Si presenta con un caratteristico rosso ciliegia, il sapore è secco, morbido, aromatico, con un delicato retrogusto mandorlato. Il tutto imbandisce e completa la tavola degli atriani e di tutti i turisti che vorranno assaporare e godere delle specialità che questa città millenaria sa offrire.

La Gallina Nera
Nello scenario delle Terre del Cerrano, ricco di agro-biodiversità, si colloca il progetto di recupero della razza Avicola “Gallina Nera Atriana”, un’attività di recupero portata avanti dalla Riserva Naturale Regionale Oasi WWF “Calanchi di Atri” che, forte della storia che lega questo animale ai luoghi ha scelto di avviare le attività di recupero della razza finalizzate anche per la diffusione di buone pratiche legate al benessere della specie, alla conoscenza delle tematiche e ai vantaggi legati alla rusticità e resilienza delle specie autoctone con uno sguardo puntato verso il futuro, dove i sottoprodotti di questa razza e più nello specifico le tanto decantate uova, possano trovare giusta collocazione nei percorsi di filiera dedicati al mercato di nicchia e alla distribuzione di qualità. L’Oasi dei Calanchi di Atri riscopre la così la Gallina Nera atriana. Rispunta nelle campagne di Atri e di Borgo Santa Maria di Pineto una specie che risale ai tempi dei romani e che sembrava ormai dimenticata dalla storia. Di questa razza parla addirittura Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia” (X,146) in cui dice “Hadriani laus maxima”, loda, cioè, le galline atriane per la loro fecondità. La gallina era stata ritratta addirittura sulle storiche monete romane di Atri risalenti al periodo compreso tra il 4° ed il 6° secolo a. C. Chi ha assaggiato le carni della Gallina Nera atriana dice di esserne rimasto colpito: la carne è scura e ha un sapore nostrano inconfondibile oltreché una polpa compatta.

Alle Origini della Birra
Sono numerosi i documenti e le testimonianze che ci consentono di individuare nelle Terre del Cerrano, come un dei primissimi centri in Italia per la produzione di Birra. Infatti, intorno all’VIII secolo, con la donazione del Conte Trasmondo III, si stabilirono ad Atri gli abati di Farfa, presso il Monastero Benedettino di S. Giovanni a Cascianello, sito su una collina a nord di Atri. Gli abati, in alcuni documenti del 1181, narrano della produzione di grano e di orzo e dell’uso di quest’ultimo per realizzare una bevanda, completata nel gusto dal rosmarino o dall’alloro (gruit o gruyt). Nelle stessi anni, Atri fu occupata dai Normanni e da Roberto Conte di Loritello e da Ugo Malmozzetto, che fecero razzie occupando la città per mezzo secolo. Nei documenti che narrano dei festeggiamenti avvenuti nel 1223 per la ricostruzione della chiesa di Santa Maria, distrutta dalle scorrerie normanne, si legge nuovamente della bevanda a base di orzo. Differentemente dai precedenti documenti, in quest’ultimo viene indicato l’utilizzo di una nuova pianta portata in Atri dai Normanni, si presume il luppolo, sostituita alle altre erbe, perché garantiva una maggiore conservazione del prodotto. Nacque così la birra in Atri, una tradizione che anche successivamente, dopo l’abbandono della città da parte degli abati, proseguì sotto il dominio dei Duchi Acquaviva. In quegli anni, siamo intorno al 1410, l’Abruzzo era tra i maggiori produttori ed esportatori di grano e di orzo, assieme alla Puglia. Documenti del 1454, che ricordano il primo incendio del porto del Cerrano, nuovamente ci riferiscono dell’utilizzo dell’orzo, non solo come cibo per i cavalli, ma anche per creare, con l’aggiunta del luppolo, una bevanda, la birra. Atri e l’Abruzzo vantano, pertanto, una antichissima tradizione nella produzione di birra lunga quasi 1000 anni.

I Dolci e il Pan Ducale
Il periodo di natale è caratterizzato dai numerosi dolci che abbondano sulle tavole: li caggiunìtti (pasta fritta ripiena di castagne o marmellata); i bocconotti (biscotti circolari ricoperti di marmellata); li pepatile (biscotti di farnia nera con mandorle e peep). Li cellette de Sand’Antonio sono il piatto tipico del 17 gennaio (biscotti a forma di uccello, ripieni di marmellata d’uva). Dolce tipico atriano dal 1300 è il Pan Ducale. Il prodotto è conosciuto in tutto il mondo, grazie all’idea di Pasquale D’Amario, fondatore della ditta Pan Ducale, di far rivivere le antiche ricette della tradizione dolciaria. Il dolce è a base di mandorle, arricchito con cioccolato, il tutto accuratamente preparato con materie prime fresche. La tradizione e la bontà di questo dolce sono passate alla storia.